Daniele Davì

Pomodoro che vieni, pomodoro che vai

Per quanto sia ancora irrisolta la disputa su chi abbia portato per primo il pomodoro dal Nuovo al Vecchio Mondo, se sia stato il conquistatore spagnolo Hernán Cortés o l’esploratore italiano Cristoforo Colombo, ciò che è sicuro è che una volta arrivato, il pomodoro ha trovato in Europa la propria casa.

Il primo riferimento scritto proviene da un erborista italiano che nel 1544, ne parla col nome di “mela d’oro”, dal francese “pomme d’or” e più poeticamente “mela d’amore”.
I paesi mediterranei, hanno il sole, il suolo e la capacità di coltivare questo frutto polposo (sì, è un frutto!) , e l’Italia in particolare, sede delle mille varianti di pizza, pasta e salsa di pomodoro, alla fine ne è diventato il più grande produttore europeo, seguito dalla Spagna, un paese letteralmente “pazzo” per i pomodori: nella città di Buñol, ogni anno si svolge “La Tomatina”, una settimana di musica, fuochi d’artificio ed epiche battaglie a colpi di pomodoro con una potenza di fuoco di 100 tonnellate di pomodori eccessivamente maturi sparati dalla gente sulla gente e per le strade.

Tomatina in Bunol – Alberto Saiz / AP

I pomodori, così come l’aglio, le olive, le arance e tanti altri  prodotti erano considerati fino a poco tempo fa, un’esclusiva prerogativa dell’Europa mediterranea. D’altro canto, su nel profondo nord, i pomodori olandesi apparsi negli anni novanta, venivano derisi persino dai tedeschi che a causa della totale mancanza di sapore li hanno soprannominati Wasserbomben ovvero bombe d’acqua.

Ma negli ultimi anni il paesaggio del pomodoro europeo è cambiato radicalmente ed ora i tedeschi non possono fare a meno dei pomodori olandesi. Difficile da credere, impopolare da scrivere anche Spagna , Italia e Grecia sono costretti ad importarli e l’Olanda -non uno dei paesi mediterranei tanto baciati dal sole- è oggi il più grande esportatore di pomodori in Europa (checché ne dicano performer e giornalisti poco informati).

Se si vuole capire la trasformazione dell’Europa nel decennio iniziato con l’adozione della moneta unica, non si potrebbe fare di meglio che seguire i viaggi di un pomodoro olandese e di un pomodoro greco nel 2014. Nell’assolata Grecia, che produce quasi il doppio dei pomodori dei Paesi Bassi, quasi nessuno dei succosi e deliziosi frutti passano il confine del paese, se non in lattine o tubetti.

Questo significa che poche persone al di fuori della Grecia stanno pagando i greci per un’abbondante raccolto potenzialmente redditizio -un’opportunità persa che non aiuta certo l’indebitata nazione. E nei mesi estivi sempre l’assolata Grecia importa pomodori olandesi perché gli agricoltori greci non hanno ancora capito come far crescere in modo efficiente abbastanza pomodori durante il periodo più caldo dell’anno. Questa è un’altra occasione persa per il pomodoro greco che -zaino in spalla e pieno di sapore ed entusiasmo- non va da nessuna parte.
Un pomodoro olandese, al contrario, è un viaggiatore serio: si può trovare scelto, imballato, spedito ed esposto nel reparto ortofrutticolo di un supermercato greco pochi giorni dopo essere stato raccolto da una delle serre high-tech delle pianure olandesi.

“Non capisco perché i greci continuino a importare tanti pomodori, soprattutto da un luogo senza sole come l’Olanda” -dice Constantinos Akoumianakis, assistente professore presso l’Università Agraria di Atene- “quando abbiamo la capacità di far crescere abbastanza pomodori per coprire il fabbisogno nostro e di altri paesi.”

Images by Kadir van Lohuizen / NOOR for Time.

Ma i greci non sono gli unici giganti fra i coltivatori di pomodoro che volgono lo sguardo verso nord con un misto di frustrazione e ammirazione per la meraviglia che suscita il business del pomodoro olandese. Gli spagnoli stanno facendo quello che non hanno fatto i greci: stanno cercando di diventare più olandesi affrettandosi ad imparare il più possibile il loro modello. In questo modo stanno inoltre contribuendo ad appianare gli enormi squilibri in termini di efficienza e scambi che col senno di poi si sono dimostrati difetti evidenti del grande esperimento politico ed economico chiamato Eurozona.
Potremmo quasi dire che i pomodori siano il fulcro dell’economia europea ed essendo coltivati in molti paesi hanno il pregio di mettere in evidenza i problemi e le tendenze comuni a diversi tipi di industrie, commerci e imprese di un blocco economico, i cui fondatori hanno previsto la forza ma non l’attuale debolezza che è scaturita dal legare insieme in un certo modo le economie europee.

Se i produttori di pomodoro del sud potessero diventare un po’ più olandesi (tenaci, sognatori e tecnologici),  ed i pomodori olandesi un po’ più italiani (profumati e gustosi) allora forse si potrebbero iniziare a vedere i segni di una visione efficiente e integrata dell’economia europea e ci si potrebbe trovare sulla buona strada per raccoglierne i frutti.